Sezione vuota
Le grotte di Monte Inici. Alla scoperta di una gemma di natura.
- Letizia Lipari
- 27 luglio 2013
È l’habitat del gheppio e della poiana, del falco pellegrino e del barbagianni. Questo e molto altro è Monte Inici, ricco di un patrimonio naturale multi forme, la cui gran parte, invisibile agli occhi, si cela sotto la sua superficie.
Elemento di un più vasto complesso montuoso che sovrasta Castellammare del Golfo, Monte Inici domina l’intero comprensorio dall’alto dei suoi 1164 metri, spruzzati di neve nei mesi più freddi. È proprio in inverno che si vedono le fenditure della roccia esalare repentini sbuffi di vapore, unico segno esterno del tesoro nascosto nel ventre della montagna: un vasto sistema di grotte carsiche.
Costituito da più di venti cavità, il complesso si articola in due rami principali: l’Abisso dei Cocci e la Grotta dell’Eremita. Mentre l’accesso alla gran parte del complesso è riservata agli esperti, il tratto iniziale dell’Abisso dei Cocci, il cosiddetto “Ramo dei Laghi”, è visitabile da tutti, tramite prenotazione, con l’accompagnamento delle guide CAI. Profondo circa un decimo dell’abisso, il ramo si estende per circa 300 m. e racchiude, grazie alla rarità delle morfologie e dei depositi presenti, una miniera di ricchezze naturali.
Superata la stretta imboccatura, il cunicolo comincia a spiegarsi, metro dopo metro, in un ampio dedalo di stalattiti, stalagmiti, saloni, vasche. Laghetti, colonne, vele (formazioni calcaree a guisa di drappi che pendono dalla volta) si susseguono fra spettacolari effetti di luce-ombra. Le piccole volte a cupola che costellano il soffitto, candide come se imbiancate a calce, sono una vera rarità in Sicilia. La loro presenza è, infatti, da ascrivere al singolare processo di speleo genesi, che ha visto coinvolte acque comuni di percolazione (normale carsismo) e acque sulfuree.
Il tratto iniziale del ramo, più austero, cede presto il passo ad un tripudio barocco di concrezioni e cristalli. “Coralli di roccia”, in tutto simili a quelli marini, accentuano la sensazione di camminare fra gli anfratti bui di un fondale marino.
Seguono le “Canne d’organo”, vaste concrezioni tubolari che ricordano lo strumento, e ammassi di cristalli di aragonite, simili a bianchi cespugli floreali, di cui è ricco il tratto finale del ramo.
Una volta spintisi in profondità, rimanere fermi - spente le luci - ad ascoltare lo stillicidio delle gocce d’acqua, vera e propria “voce” della grotta, significa immergersi nell’anima del luogo. E scoprire un buio e un silenzio sconosciuti al mondo esterno, relitti di una dimensione perduta qui ancora viva.
Esplorate sistematicamente solo dagli anni ’90, le grotte costituiscono una realtà ancora poco conosciuta. Già rifugio dell’uomo preistorico e dei pastori medievali, come testimoniano i numerosi e difformi rinvenimenti ceramici, le grotte furono sfruttate in anni più recenti per scopi non sempre ortodossi. Un contrabbandiere, presso la Grotta del Cavallo, aveva allestito il suo quartier generale dove distillava lo spirito, un vero laboratorio con tanto di alambicchi. Un’immagine che rimanda ad antichi alchimisti, a stregoni nascosti negli antri, e che arricchisce di un alone di mistero un luogo in cui il magico sembra annidarsi dietro ogni angolo, e il cui fascino è rimasto intatto nel tempo.
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