Il tonno nella storia
Si pescava già nel Neolitico- Ninni Ravazza
- 9 maggio 2022
Il tonno nella storia ha un radicamento profondo. La pesca del tonno e il consumo della sua carne hanno origini antichissime. Negli strati neolitici della Grotta dell’Uzzo, che si trova al centro della Riserva naturale dello Zingaro, sono stati rinvenuti resti di grandi pesci: cernie, dentici, e il Tonno rosso (Thunnus thinnus). Gli uomini di ottomila anni fa evidentemente avevano appreso come catturare quegli enormi animali marini che percorrevano sempre le stesse rotte dettate loro dall’istinto e che migliaia di anni dopo sarebbero state intercettate da lunghe reti perpendicolari alla riva calate per fermare la “corsa” dei branchi: le Tonnare.
Il tonno nella storia e nei toponimi, possiamo dire. A poche centinaia di metri dalla grotta dell’Uzzo, nella località il cui toponimo è stato dettato dall’attività di pesca che vi si svolgeva - “Tonnara” -, già 400 anni prima di Cristo pescatori e commercianti realizzarono le strutture per trasformare e conservare i pesci catturati. I resti di quelle vasche in cocciopesto - che i romani chiamavano cetariae ed i greci taricheiai - stanno ancora lì a dimostrare quanto evoluta fosse la pesca e avanzate le conoscenze per non disperdere quell’enorme potenziale alimentare rappresentato dai grandi pesci il cui consumo in fresco, per le dimensioni, non sarebbe stato possibile. Nelle cetariae si mettevano sotto sale, per allungarne la durata, i piccoli sgombri e le saporite trance di tonno, e le anfore colme di salato, accanto a quelle riempite di pregiato garum, venivano imbarcate sulle navi dirette ai grandi porti-empori del tempo.
Pesca e trasformazione
Il tonno nella storia è anche l’evoluzione delle tecniche di cattura, con le modifiche dettate dall’esperienza. Si arriva quindi al grande sistema di pesca che è la “tonnara”, con le sue reti di sbarramento e il recinto (“isola”) ove vengono rinchiusi i tonni; tutta la costa trapanese è stata disseminata di tonnare produttive, da quella di Magazzinazzi a confine tra Alcamo Marina e il Golfo di Castellammare a quella di Torretta Granitola, a Campobello di Mazara, l’unica che pescava i tonni “di ritorno” dopo il loro viaggio d’amore. L’abbondante pesca di tonno, che assicurava quantitativi di carne e interiora di gran lunga superiore al fabbisogno immediato, ha portato a forme di trasformazione del prodotto che ne assicurasse la conservazione per mesi.
Dalla salagione nelle vasche cetariae si è passati ad altre modalità di conservazione, che si sono perfezionate nel corso dei secoli.
Lo scopo principale è sempre stato quello di sfruttare tutto del tonno, di cui nulla si getta, “siccome i porci di terra quando macellansi abbondano di carni una casa, così il tonno di mare l’abbonda di salato considerandosi i tonni come porci di mare …” (Marchese di Villa-bianca, XVIII secolo).
E tra le parti più pregiate del tonno ci sono state sempre le uova, manipolate dalli bottari e marinari.
Dove si catturavano i tonni avveniva la trasformazione del prodotto, così nei pressi degli antichi siti di pesca sono sorti nel tempo gli stabilimenti ittici di lavorazione e conservazione, che oggi rappresentano importanti esempi di archeologia industriale.
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