La Ghigliottina del Museo Pepoli
- Martina Palermo
- 22 febbraio 2023
La ghigliottina è lo strumento che decreta la responsabilità individuale dei colpevoli e l’ingiustizia perpetrata da chi «ha il potere d’imprigionare, torturare, giudicare e condannare…» citando lo scrittore Leonardo Sciascia.
Questo brutale strumento, aldilà dell’uso, è un mezzo per salvaguardare la memoria storica che risiede al Museo Pepoli di Trapani. La ghigliottina si erge nella sua lignea possanza, incuriosendo e terrorizzando i passanti. “Da dove proviene questo strumento? Quante persone sono state decapitate? Per quale ragione?” Sono domande che si stagliano nella mente dell’osservatore.
Tali curiosità non sono sfuggite al giornalista trapanese Salvatore Mugno che ha scritto il libro “Decollati, Storie di ghigliottinati in Sicilia” edito da Margana, in cui si narrano, tra le altre cose, le storie di condannati a morte. La ghigliottina sita al Pepoli, ha uno sviluppo in pianta pressoché quadrata. Sembra strutturata come un palcoscenico, con uno spazio in rialzo per l’esibizione. Le parti più resistenti erano allestite in legno di castagno e in noce, la restante fattura era di abete. Secondo l’uso, la testa dei condannati veniva imboccata nella fessura dopodiché scendeva la lama retta chiamata la vedova o la “machine à décoller” (macchina per decollare). Il nome “ghigliottina” deriva dal medico parigino, Guillotin che la ideò.
Fu utilizzata a Trapani durante il regno dei Borbone e dopo l’avvento dei Savoia. Nella Sicilia dell’800, in un cinquantennio, vennero messe a punto 24 esecuzioni capitali.
La ghigliottina era custodita al Convento locale dei Cappuccini e montata, per le esecuzioni, in una località tra corso Vittorio Emanuele e Viale Duca d’Aosta. Il modello sito al Pepoli, pare sia antecedente al 1792. Le prime decapitazioni furono eseguite in pubblico, in seguito vennero ammesse solo le persone espressamente delegate.
Maestosa e lugubre, di fronte alla ghigliottina si disperde un religioso silenzio, rotto dagli echi dei condannati a morte, trascinati sui patiboli, in una piazza intrisa “di sangue e martirio”.
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