I formaggi ovini siciliani

Tumazzu, vastedda, piacentino e maiorchino

Dietro un formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo: prati incrostati di sale [...]; prati profumati d’aromi al sole ventoso [...]; ci sono diversi armenti con le loro stabulazioni e transumanze [...].

Italo Calvino nel romanzo “Palomar” descrisse la straordinaria biodiversità delle produzioni lattiero casearie francesi.

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L’Italia è, con la Francia, la terra con il maggior numero di formaggi a denominazione DOP e IGT d’Europa. La Sicilia è una delle regioni più fertili in tal senso: alcuni formaggi vengono prodotti ancora a mano, con latte crudo e attrezzature tradizionali in legno e giunco, da razze autoctone allevate su pascoli naturali. Non vengono utilizzate colture starter, cioè colture microbiche selezionate, ma fermenti “autoctoni” naturalmente presenti nel latte. Tutti questi fattori incidono sulla qualità nutrizionale e aromatica dei formaggi siciliani. Unici quelli ovini. Il latte di pecora contiene più grasso e proteine che, degradati da alcuni enzimi, producono composti aromatici che infondono profumi caratteristici a questi formaggi (odore di affumicato, di animale, di fieno e di erbe aromatiche).

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Il Pecorino Siciliano, chiamato “tumazzo” in dialetto, ha diversi gradi di stagionatura e salagione: la Tuma fresca si consuma subito, senza alcuna salatura; il “primosale” dopo 8 giorni; il “secondo sale” dopo 2-4 mesi. Per lo stagionato che trasuda olio e ha un sapore deciso e tendente al piccante servono dai 4 mesi in su; ottimo da mangiare come antipasto, accompagnato da frutta, miele o confetture, oppure sulla pizza rianata tipica del trapanese. Tuma e primo sale sono ottimi alla griglia, conditi con un filo d’olio e origano.

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La Vastedda del Belìce si produce nella valle del fiume omonimo il cui bacino è compreso tra i comuni di Trapani, Agrigento e Palermo. È un formaggio a pasta filata, tecnica in cui il formaggio appena prodotto, si taglia a fette e si fila immergendolo in acqua calda a 80°C nel cosiddetto piddiaturi (tradizionale mastello di legno). Ha la tipica forma di un pane del trapanese (da qui il nome), che si ottiene collocando la pasta in un piatto fondo di ceramica. È ottima tagliata a fette e condita con olio extravergine d’oliva, pomodoro e origano.

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Particolarissimo è il Piacentinu Ennese, un pecorino puntellato di grani di pepe, di una vivace colorazione giallo oro ottenuta grazie allo zafferano. Leggenda narra che re Ruggero per guarire la moglie affetta da depressione, ordinò di caseificare con lo zafferano, spezia dalle straordinarie proprietà energizzanti. Può essere consumato in purezza o come ingrediente nella preparazione di varie ricette. Si impiega ad esempio nel capretto abbuttunato tipico dell’ennese.

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Il maiorchino, altra eccellenza siciliana, si produce in alcuni comuni del messinese, in particolare a Novara di Sicilia. Viene realizzato con diverse tipologie di latte: ovino in maggior quantità, ma anche bovino e caprino. A Carnevale a Novara si tiene il celebre torneo del lancio del formaggio per le vie del paese (la ruzzola), con degustazioni di maiorchino e prodotti tipici.

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