Gibellina, Archeologia della contemporaneità.
Tra nostalgia del futuro e aspettative del passato- Franco Candiloro
- 26 luglio 2014
Visitare Gibellina è, a tutti gli effetti, una visita di sapore archeologico. Rientra in una pratica consolidata di quel turismo mitteleuropeo delle assenze, del vuoto… dove il segno archeologico viene completato dall’immaginario antropologico.
La fruizione dei luoghi del tempo diventa automaticamente memoria della nostalgia.
Questa è l’aria che si avverte in qualsiasi stagione nel fruire lo spazio di una città voluta... Gibellina. Incontrarvi la vita sembra cosa difficile, ma allo stesso tempo affascinante, in cui l’aspetto del pellegrinaggio della memoria nasconde la sua reale natura di fruizione turistica ed intellettuale. Si tratta del nulla presente inteso come segno archeologico del passato, in cui è la “mancanza” ad attribuire consistenza e identità.
Nell’immaginario collettivo un’area archeologica è traccia fantasmatica della realtà, non confondibile con la tangibilità delle presenze. Ma un edificio inspiegabilmente vuoto e silente è “più archeologico” di uno vivo e pregnante di vita, indipendentemente dalla sua età.
La sua specificità è la “mancanza”, che lo trasforma in uno spazio archeologico. Nella esperienza più tradizionale, Gibellina come luogo, è fortemente caratterizzata dalla “mancanza”: Selinunte, la cui immagine turistica è fortemente segnata dall’archeologia, offre un sito con un elevato di poche decine di centimetri e, al più, un po’ di colonne disordinatamente sparse lungo il percorso della visita.
Il fascino dipende dalla letteratura di età antica, prima, e dell’epoca del Grand Tour, poi; e, soprattutto, dal suo ruolo nell’immaginario collettivo che ne ha assicurato un’immagine più mitica che reale.
Nei siti neocontemporanei il tempo mostra la sua “alterità” non per “mancanza”, ma per straniante “sovrabbondanza”: l’imponenza architettonica, ingegneristica e psicologica delle nuove forme costruite a Gibellina non viene ascritto a un comune processo di civilizzazione, ma, come spesso accade, a misteriose e allogene influenze, che finiscono per confermare l’efficacia emozionale del dibattito fra contemporaneità e passato.
Ludovico Corrao, che di Gibellina fu sindaco e padre rifondatore, grande interprete della “qualità intellettuale” non restò a guardare e chiese aiuto ai suoi amici pittori, architetti e poeti per ridisegnare la città.
All’appello risposero artisti del calibro di Alberto Burri, Mario Schifano, Franco Angeli, Andrea Cascella, Pietro Consagra, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino e intellettuali come Leonardo Sciascia e molti altri, italiani e stranieri che impiegarono le loro energie per una nuova immagine. Una utopia discussa in anni di un dibattito culturale arruffato e contorto su se stesso.
Il Catalogo degli “edifici”: la “Chiesa sferica” di Ludovico Quaroni; il “Giardino Segreto” di Francesco Venezia che racchiude la facciata della cattedrale terremotata; “Meeting”, la scultura-edificio polivalente di Pietro Consagra; il “Sistema delle piazze” (cinque per l’esattezza collegate tra loro) di Laura Thermes e Franco Purini; il “Municipio” di Vittorio Gregotti e Giuseppe Samonà. Il “Grande Cretto” di Alberto Burri, che sorge sulle macerie dell’antica città. Burri, ricoprì i ruderi della vecchia Gibellina con una colata di cemento bianco lasciando però inalterato l’impianto viario. Il risultato è un’opera grandiosa che conserva la memoria dei resti che la natura avrebbe altrimenti inghiottito con il passare degli anni.
Questa “factory” del talento partecipativo alla ricostruzione di un pensiero della contemporaneità trova nel Museo Civico il contenitore che ospita una delle poche collezioni d’arte contemporanea della Sicilia: Renato Guttuso, Mario Schifano, Mimmo Rotella, Salvatore Fiume, Lucio Fontana, Antonio Corpora, Giulio Turcato, Carla Accardi, Franco Angeli, che hanno come denominatore comune Gibellina, il terremoto, la ricostruzione.
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