Il castello di Venere ad Erice
Il tempio dell’amore divenuto fortezza- Fabio Pace
- 26 luglio 2022
Il Castello di Venere, avvolto nella nebbia, è una delle immagini più suggestive di Erice. La nebbia sfuma alla vista le ingiurie del tempo sull'architettura medievale delle mura e delle torri. È in qualche modo paradigma della nebbia del tempo che ne avvolge la storia e ce ne restituisce sfumate le testimonianze; difficili da leggere nelle pietre rimaste se non si è più che esperti.
Lì dove oggi vediamo il castello di Venere, o meglio, ciò che rimane dell’originario maniero edificato tra l’XI ed il XII secolo dai Normanni, vi era un tempio dedicato alla Venus Erycina. In questo luogo sacro avevano dimora le jeròdulai, sacerdotesse che praticavano la prostituzione sacra. Erice era meta di pellegrinaggi dall’entroterra e, soprattutto, era tappa dei marinai che attraversavano il Mediterraneo sulla rotta tra Roma ed i suoi possedimenti africani. Persino i romani, però, ereditarono il luogo come sacro.
Prima che alla Venere il sito fu sacro alla Afrodite dei Greci, alla Astarte dei Fenici e, con molta probabilità ad un culto della dea madre (Potnia) della popolazione autoctona forse ancor prima che si insediassero le genti egee che con essa diede origine agli Elimi.
Le ricostruzioni archeologiche incrociano il mito: durante il mese di agosto venivano celebrate le feste della partenza delle colombe sacre ad Afrodite (Anagogie) e quelle del ritorno (Catagogie), in cui la colomba rossa incarnazione della Dea faceva rientro al santuario. Del recinto sacro, il themenos, scrive Diodoro Siculo.
È certo comunque che nel sito sorgeva un santuario a cielo aperto che i romani restaurarono lasciandone testimonianza nelle monete fatte coniare dal console Consilio Noniano.
Di quell’epoca nel castello di Venere è ancora visibile il pozzo cilindrico, al centro della spianata interna al castello, e che in origine doveva essere una favisa, cioè la fossa dove venivano posti i resti sacrificali in onore della dea. L’intervento medievale, quello maggiormente visibile, fu operato riutilizzando materiale edilizio del preesistente santuario romano.
La cinta muraria, con un’alternanza di rientranze e sporgenze, segue la conformazione della rupe e presenta i caratteristici merli a coda di rondine, detti ghibellini.
Nel castello di Venere risiedevano le autorità del tempo: il bajulo, funzionario del re con compiti di giustizia civile ed esazione delle imposte; il capitano Regio, cui era affidata la difesa militare del borgo e del castello, ed il castellano che sovrintendeva alla vita economica e civile. Il castello fungeva anche da carcere. Traccia delle prigioni (in uso fin in epoca borbonica) sono ancora visibili subito a destra dell’ingresso.
A sinistra si trovano i ruderi dell’abitazione del castellano ed i resti della vasca di un piccolo ambiente termale (forse il calidarium di epoca romana). Anche la struttura medievale ha subito profonde trasformazioni nei secoli.
Il castello di Venere comprendeva tre torri in posizione avanzata, separate dal castello da un fossato. Le due parti della fortezza, secondo il resoconto del geografo arabo Ibn-Giubayr del 1184, erano collegate da un ponte levatoio.
Memoria della dominazione spagnola, sull’arco ogivale di ingresso, la grande aquila asburgica di Carlo V. Il ‘700 e l’800 con gli ultimi interventi costruttivo demolitivi, ci consegnano il castello di Venere come lo vediamo oggi.
A noi piace ricordarlo come era in epoca classica: un luogo sacro dedicato all’amore ed ai piaceri della carnalità. Una memoria che neppure i successivi 3000 anni di storia, di guerre e miserie umane, hanno cancellato.
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