Il cous cous e le sue origini magrebine

Il cibo di Massinissa

Il couscous: per molti è il cibo per eccellenza. La sua storia ha inizio all’alba dei tempi, quando ancora la Storia non era cominciata, sulle steppe del Maghreb.

È la storia di un cibo che parla di greggi portate al pascolo, di polvere, di spighe di orzo e di grano raccolte verdi, di mietiture, di macine a pietra e di grani arrostiti. Una storia di madri e di madri delle madri, una storia di memoria, di mani sapienti che danzano nel grande piatto e di movimenti ritmati dal tintinnare dei bracciali d’argento. Una storia berbera che sa di fumo di falò, di carni arrostite, di cavalieri, di quando il grano e l’orzo erano ancora selvatici ed i chicchi cadevano dalle spighe quando arrivavano a maturazione disperdendosi nella steppa.

Quei pastori impararono a raccogliere le spighe ancora verdi, a tostarle sulle braci ed a separare il seme dalla pula battendo quei grani tostati, riducendoli a pezzi: la prima semola.

Non sappiamo con certezza quando le madri di quei pastori impararono a cuocere la semola al vapore. Ancora oggi sulle steppe del Maghreb i pastori usano cuscusiere di sparto o giunco, che si distruggono in breve tempo. E nemmeno il ritrovamento di frammenti di terracotta forati, riconducibile all’epoca di Massinissa (III e II sec a.C.), ci danno certezza che essi appartenessero a cuscusiere.

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Bisogna aspettare il medioevo, le cronache che dal IX secolo iniziano a narrare la travolgente espansione dell’Islam, perché venga citata la cottura al vapore, ma già allora era diventata la storia di un cibo arabo, che viaggia sulle parole del profeta, che da nomade si trasforma in viaggiatore e diventa cibo per eccellenza. Cibo che si impone in ogni paese del mediterraneo dove sventolano le bandiere dell’Islam, per secoli, e che poi indietreggia dietro quelle stesse bandiere, spinte al di la del mare da altri cavalieri, che combattono in nome di un altro Dio, fino a scomparire.

Cibo cancellato dalla memoria dell’Europa. Cancellato, come cancellati furono gli snelli minareti, le regge dei califfati di El Andalus e Aziz, i giardini, le fontane zampillanti, ed il cibo per eccellenza torna dove era nato, in quella fascia di terra, tra il mare ed il deserto, nelle steppe del Maghreb.

Una storia che potrebbe finire qui se non fosse che c’è in un piccolo angolo del Mediterraneo, una terra felice, una città che non ha mai rinnegato di essere stata berbera, islamica, normanna, spagnola o francese senza mai smettere di essere siciliana: Trapani, la più levantina delle città siciliane. A Trapani il cibo per eccellenza non è mai stato dimenticato, ma si è trasformato: da cibo nomade, cibo già cotto che al momento del consumo aveva bisogno soltanto di un’ultima fase di lavorazione, è diventato cibo stanziale, che si prepara e si cuoce al momento di consumarlo.

Perché questa è la storia del cuscusu, il cibo per eccellenza.

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