Il Museo Cordici e la Venere ericina  

La Venere ericina

La Venere ericina è il simbolo della città di Erice. Gli storici classici, da Strabone a Diodoro Siculo, raccontano di un culto presso un tempio, noto in tutto il Mediterraneo, dove le ierodule (giovinette rese schiave e consacrate alla dea) praticavano la prostituzione sacra. La fenicia Astarte divenne la greca Afrodite e questa poi la romana Venere. Tutte e tre comunque, nel corso dei secoli sono state accompagnate dall’aggettivazione costante di Ericina.

Il Museo Cordici e la Venere ericina   - 1

Culto talmente radicato che da pagano divenne, con il trascorrere dei secoli, cristiano trasferendo nella Madonna di Custonaci lo stesso sentimento di devozione. Lo stesso culto di Astarte, però, altro non sarebbe se non l’evoluzione di una commistione tra il culto locale naturistico dedicato alla Terra ed alla Grande Madre e quello giunto dall'oriente dell’accadica Inanna e della sumerica Ishtar. Lo stemma della città reca una montagna sormontata da una colomba che si libra in volo mentre tiene nel becco un ramoscello d’ulivo. È un richiamo diretto alle cerimonie delle katagoghie e anagoghie, il volo delle colombe sacre allevate dalle ierodule del tempio.

Il Museo Cordici e la Venere ericina   - 2

Il Museo Cordici

L’immagine giunta a noi della Venere ericina, è custodita nelle sale del piccolo ma ricco museo civico, intitolato ad Antonio Cordici, storico ericino e collezionista di opere d’arte. Si tratta di una piccola testina databile IV secolo a.C. divenuta iconografica della Venere ericina.

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Nel museo Cordici sono pure custoditi gran parte dei reperti provenienti dalla necropoli di Piano delle Forche, nei pressi della Porta Trapani ove sono state documentate deposizioni entro brocche e urne, oltre che ceramica acroma dalle forme tipiche del periodo punico. Citiamo tra gli altri reperti due urne cinerarie di III a.C. e tre anfore puniche da trasporto, del III secolo a.C.

Dalla più antica necropoli di contrada Mocata-Palatimone, nei pressi di San Vito Lo Capo, giunge invece l’amuleto del VII a.C. che reca la figura di Ptah-Pateco nudo (una divinità di origine egizia rappresentato sotto forma di nano).

Vi è poi una ricchissima collezione di monete antiche, la cui provenienza non è certa, che giungono a noi dalle collezioni dello stesso Cordici e del Conte Francesco Hernandez. Si tratta con ogni probabilità di reperti rinvenuti nei pressi del santuario ericino e dall’area detta “favissa” (fossa), dove erano raccolti i resti dei sacrifici in onore alla Dea.

La maggior parte delle monete proveniente dalla collezione Cordici è riconducibile ad emissioni in argento e in bronzo delle città di Palermo, Lilibeo, Selinunte, Pantelleria ed anche di Cartagine, come il Decadramma argenteo con testa di Kore e Pegaso, del 266-241 a.C.

La collezione Cordici, da questi lasciata in eredità ai frati francescani andò dispersa; in minima parte fu recuperata dal Conte Hernandez quasi un secolo dopo ed oggi, insieme ai pezzi raccolti dallo stesso conte è per buona parte presso il Museo Pepoli di Trapani. Al museo Cordici rimangono alcuni dipinti, arredi e paramenti sacri provenienti dalle chiese ericine.

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